Dire, capire, fare, migliorare: siamo sicuri?

Durante i corsi di formazione che tengo in giro per l'Italia, mi capita spesso di ascoltare chi mi dice: "Non so quante volte gliel'ho detto... non vuole proprio capirlo!!". Come se non bastasse, ogni tanto intercetto anche commenti del genere: "Eravamo arrivati a concordare sul fatto che fosse utile fare quel passo, ma non c'è proprio verso: siamo sempre punto e a capo!!". E ancora: "Siamo riusciti a fargli compiere quel passo, ma la situazione non è cambiata...".

In questo articolo voglio raccontare come mai le affermazioni scritte qui sopra svelano tre trappole molto insidiose, nelle quali tutti cadiamo molto spesso.

 

In sostanza finiamo per illuderci che DIRE corrisponda necessariamente a FAR CAPIRE, che aver capito garantisca un FARE e che questo generi a sua volta un MIGLIORARE: non è (quasi mai) così!!

Partiamo dalla prima trappola: DIRE vuol dire FAR CAPIRE. Ma chi l'ha detto? Perché il dire risulti una strategica comunicativa efficace, dovrebbero verificarsi una serie di condizioni che, molto spesso, non sussistono: dalla chiarezza di chi dice all'attenzione di chi ascolta, dalla richiesta esplicita di informazioni ad una corrispondenza tra tale richiesta e il contenuto di quanto detto, dall'esaustività di chi parla alle capacità (cognitive e culturali) di chi riceve.

Insomma, credere che sia sufficiente dire perché l'altro capisca è da illusi...

 

Passiamo alla seconda chimera: CAPIRE vuol dire FARE. Non è sempre vero... anzi, forse quasi mai! Ci basterà fare un paio di esempi: chi fuma sa/ha capito che il proprio vizio è deleterio per la salute? Chi non fa attività fisica sa/ha capito che muoversi con regolarità è molto importante per il proprio benessere, mentale e fisico? C'è qualcosa che sai perfettamente di dover fare, ma che continui a rimandare?

Ecco, credere che l'essere umano sia un essere razionale, che agisce sulla base di quanto ha compreso/deciso è mera illusione. Molto spesso una chiave sta nel passare dal far capire al far sentire/percepire in modo differente: (quasi) ogni Studente sa perfettamente che dovrebbe impegnarsi, (quasi) ogni figlio sa che non dovrebbe tornare tardi, (quasi) ogni Genitore sa che sarebbe opportuno cooperare con la Scuola, ecc. Tra l'altro, credere che chi ci sta intorno non si comporti come dovrebbe solo perché non ha capito (il che poi ci porta a ripetere le cose, insistere, fare i cosiddetti "cazziatoni"), significa ritenere queste persone poco intelligenti... di conseguenza ritenerci noi più abili: presuntuoso, direi.

 

Chiudiamo con l'ultimo miraggio: FARE vuol dire MIGLIORARE. Ipotizziamo che fin qui ci sia andata bene: abbiamo cioè comunicato qualcosa a qualcuno, questi non solo ha capito ma ha anche fatto ciò che gli abbiamo detto... siamo sicuri che questo cambiamento generi necessariamente un miglioramento? Pensarlo significa dare per scontato che la nostra idea di soluzione sia necessariamente funzionale: ricordiamo che non tutto quello che ha sortito buoni effetti in passato debba continuare a farlo anche nel presente... le variabili sono talmente tante da non poter generalizzare così facilmente.

In alcuni casi, fare potrebbe addirittura essere sinonimo di peggiorare: consigliare ad uno Studente di studiare di più (ammesso e non concesso che capisca il nostro messaggio e lo metta effettivamente in pratica) potrebbe addirittura generare effetti paradossali...

 

E tu, cosa ne pensi? Questi e molti altri effetti della comunicazione e del cambiamento li trattiamo rispettivamente nel corso di Comunicazione Strategica e in quello di Problem Solving: se ti va di partecipare (magari sfruttando la tua Carta del Docente), scrivici un'email all'indirizzo info@metadidattica.com

 

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Corsi accreditati MIUR: disponibile Carta del Docente
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