Come ho usato il contatto fisico con i miei Studenti (non è stato facile!)

Ormai è chiaro: la nostra comunicazione non passa soltanto attraverso le nostre parole. Il nostro modo di esprimerci non verbalmente è determinante nel creare (o distruggere) relazioni.

Fra tutta la Comunicazione Non Verbale (fatta di para-verbale, cioè tutti i suoni e i rumori che sono intorno alle parole, e di linguaggio del corpo) il contatto rappresenta un elemento determinante per creare "legame". Non a caso quest'ultima parola presuppone un "contatto".

Ti propongo la lettura dell'esperienza di Emilia, una nostra Sperimentatrice Selezionata che ci descrive un suo cambiamento significativo in Classe.

Anno di prova. Messa alla prova nel corpo e nell'anima.

 

Non mi aspettavo un tale coinvolgimento fisico, assolutamente no. Credevo che insegnare fosse un'attività fredda, autoritaria, di distanza e imposizione formativa.

 

Assolutamente fuori strada.

 

Quanto ci sia di fisico nessuno te lo dice. Ogni classe è un insieme di corpi, menti, realtà diverse che confluiscono tutte nella dinamica con il docente e con gli altri compagni.

Gli alunni tra loro giocano, si studiano, cercano il contatto, crescono.

 

Ma cosa accade quando le loro adolescenziali modalità di conoscenza e approccio vengono rivolte a te, docente neoassunta con il terrore del contatto fisico?

 

Vediamo.

 

Una mattina, entrata in classe, scrivo per divertimento una poesia sulle regole da tenere in aula, stanca di ripeterle senza nessun effetto. Esplode il loro entusiasmo ed eccoli, tutti in piedi, tra i banchi, a insistere "Prof. è bellissima! Prof. qua ci vuole un abbraccio di gruppo! Prof. abbraccio di gruppo, abbraccio di gruppo!" Cioè per me il patibolo. Glisso, oppongo stridule obiezioni, fortunatamente sono convincente e mi salvo. Ma so di aver sbagliato. Avrei dovuto accettare quell'offerta/richiesta di contatto, avrei dovuto esserci e non scappare.

 

Va bene, lavoriamoci.

 

Durante le lezioni cerco di cominciare un approccio non verbale, di contatto morbido e presente, forse più per me che per loro. Sento che si aprono ma soprattutto sento il mio timore smorzarsi. Sono semplicemente dei ragazzini, i miei alunni e, come tali, hanno bisogno solo di giocare, non giudicano, non hanno secondi fini.

 

Rimpiango ancora l'aver rifiutato quell'abbraccio. Ma mi si presenterà un'altra occasione. Intanto, in molte situazioni di tensione, mi rendo conto che la vicinanza fisica aiuta, una mano sulla spalla li distrae e li calma molto più di un rimprovero. Toccare loro una mano poggiata sul banco o cercarne gli sguardi in momenti di difficoltà, parlando con un tono di voce familiare e tranquillo, li aiuta ad esserci nella lezione o nel compito, riportandoli al loro presente in aula.

 

Va meglio anche per me, meno tesa e distante.

 

Ma ecco l'occasione. Uscita didattica. Museo di Capodimonte. A passeggio tra le sale, mentre spiego e illustro le opere d'arte, mi si avvicinano, sporgono le teste appoggiandosi a me. Li lascio fare. All'uscita, di fronte al panorama, mi chiedono un selfie, ovviamente. Eccoli, tutti attaccati a me, più alti di me, coloratissimi, nel recuperato abbraccio di gruppo.

In quella foto abbiamo tutti dei grandi e felicissimi sorrisi.


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