Gruppi WhatsApp con gli Studenti: come ridurre i rischi e sfruttarne le potenzialità.

La maggior parte delle volte che, con voi Docenti, ho avuto l'opportunità di confrontarmi sul tema uso della tecnologia a Scuola, ho ricevuto stimoli incredibili.

 

Da qualche mese ho conosciuto Emilia, un'Insegnante entusiasta e Sperimentatrice fin nel midollo: con lei ho avuto la fortuna di parlare delle implicazioni didattico-relazionali dei gruppi WhatsApp.

Questo non a partire da costrutti teorici o ipotesi tropo distanti dai banchi, ma muovendo da una sua testimonianza pratica, osata, vissuta, goduta.

 

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Non è certo una scoperta che la comunicazione tra le nuove generazioni si avvalga ormai di mezzi e modalità molto legate al mondo tecnologico, sviluppatesi e affermatesi negli ultimi anni con forza e valore di regola non scritta.

Le nostre leggi non hanno ancora recepito questi cambiamenti e sostengono con forza, e a ragion veduta, l'esclusione dei minorenni dall'uso e dalla frequentazione di una serie di questi dispositivi, come Facebook e WhatsApp.

 

Ma è sotto gli occhi di tutti: la proibizione spesso non corrisponde all'uso e la necessità comunicativa di queste generazioni di nativi digitali, così nativi che imparano prima a scorrere delle immagini su un display che a parlare, segue delle strade tutte sue.

 

Insomma, ormai è andata. Ma in classe l'uso del cellulare è giustamente vietato e bandito. La concentrazione ne risentirebbe e lo spazio della lezione verrebbe invaso da altri stimoli. Quindi in classe niente nativi digitali.

 

Anno di prova, fresca di TFA e teorie varie, mi aspetto un setting classe almeno favorevole tecnologicamente. No, niente. Torniamo a carta, penna e attenzione, con l'aiuto di qualche TIC. Ma gli studenti friggono, si vede. Non dialogano spontaneamente con i libri li accolgono come si potrebbe fare con le parole di un anziano che rimpiangeranno solo vent'anni dopo. Tant'è. Ne prendo atto e procedo nel mio anno scolastico con un occhio alla LIM e un occhio al libro.

 

Verso la fine di aprile, gli alunni di una delle mie terze, durante i preparativi per il viaggio di istruzione di fine anno, cominciano insistentemente a chiedere la mia partecipazione. "Ragazzi non posso, ho problemi di famiglia, mi dispiace!" - "E ja, Prof. venite!" - "E su, Prof. ci mancherete!". Mi balena in mente un'idea. "Ragazzi, vi andrebbe di creare un gruppo WhatsApp in modo da farmi essere sempre lì con voi? Mi potreste mandare immagini, racconti dei posti che visiterete e farmi vedere un po' di Sicilia con i vostri occhi!".

Che ve lo dico a fare? Un ululato uniforme di "Sììììììììììììì!" mi ha fatto pensare che forse avevano apprezzato.

 

Ho iniziato così questo esperimento, un po' intimorita dai rischi che potevo correre, messa in guardia dallo scetticismo dei colleghi con cui mi sono confrontata. Ma ormai ero in ballo. Quindi, innanzitutto, per non perdere il mio ruolo, il gruppo era amministrato da me.

Abbiamo scelto insieme come immagine del profilo una bella foto di gruppo fatta durante un'uscita didattica e abbiamo poi stabilito con gli alunni delle regole chiare: niente immagini strane, scherzi, offese e linguaggi poco carini.

 

Il gruppo doveva essere in realtà un'estensione dell'aula o, meglio ancora, un approfondimento del nostro rapporto durante un'esperienza nuova per loro.

Ha funzionato. In quei giorni, dal momento della loro partenza e per tutta la durata del viaggio, sono stata sommersa da immagini dolcissime, di felicità, di entusiasmo, di meraviglia. I più attenti mi hanno anche descritto e illustrato i posti visitati, i più vivaci mi hanno raccontato delle avventure e degli scherzi fatti tra compagni. Ho potuto correggere, anche se non direttamente, il loro modo di esprimersi, senza farlo sembrare un atto scolastico ma un consiglio di una persona più grande. Si sono lasciati guidare, mi hanno coinvolta e cercata, con commenti a volte molto profondi.

 

Al ritorno in classe mi aspettavo imbarazzo da parte loro, magari per essersi avvicinati troppo a una Prof.

 

Assolutamente no. Erano felici di vedermi e, pur essendo la classe che fino ad allora mi aveva fatto disperare di più, ero felicissima anche io di ritrovarli. Avevo inoltre più chiaro il carattere di molti di loro con cui fino ad allora avevo avuto difficoltà a relazionarmi.

 

L'operazione ha funzionato. Ho notato che, sentendo chiaramente accettato da un Professore il loro modo di esprimersi attraverso WhatsApp, la dinamica oppositiva veniva a cadere, trasformandosi in un desiderio infinito di comunicazione.

 

Abbiamo deciso di non chiudere il gruppo, lasciandolo aperto per tutta la durata della preparazione agli esami di fine anno. "Prof. stiamo più tranquilli se ci siete sempre!".

Molti genitori, durante i colloqui finali, mi hanno ringraziata. "Di cosa, Signora?" "Professorè, mio figlio nella chat che tiene con voi si sente orgoglioso, non vede l'ora di farvi delle domande!".

 

Emilia

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