E se comunicare significasse ASCOLTARE?

La maggior parte delle volte, quando si parla di comunicazione, si rivolge l'attenzione prevalentemente alla fase in cui si "emettono" informazioni. Molto più raramente si pensa a quanto sia importante la fase di ASCOLTO.

Posti di fronte a questa riflessione, siamo ben in grado di individuarne l'importanza: sappiamo che essere dei buoni ascoltatori ci permette di entrare in contatto con il nostro interlocutore, che ascoltare vuol dire appagare uno dei bisogni più comuni degli essere umani, che prestare un ascolto di qualità vuol dire comprendere meglio quello che l'altra persona vuole intendere e vuole trasmetterci...

Ma quanti di noi sanno davvero ascoltare? Quanti riescono ad offrire un ascolto davvero efficace?

 

Il noto psicologo Thomas Gordon si riferisce a questo concetto con l'espressione "ascolto attivo".

 

Come mai si parla di ascolto "attivo"?

 

Generalmente quando si immagina qualcuno in ascolto lo si fa attribuendo maggiore attenzione a chi parla, confinando l'ascoltatore dietro una sorta di cortina fumosa che lo lascia appena intravedere... un ascoltatore, quindi, piuttosto "passivo".

 

Ma come può essere "attiva" una persona che dovrebbe lasciare spazio a chi parla? Perché lo spazio va lasciato, vero?

 

Certo che va lasciato lo spazio, più se ne lascia e meglio è. Solo che questo spazio va "offerto" a chi lo riempirà con qualcosa di prezioso (per noi e per lui/lei). Questo vuol dire comunicare "attivamente" la nostra disponibilità di ascolto. Attivamente quindi, non in modo passivo o lasciando all'altro il compito di intuire la nostra disponibilità come ascoltatori.

 

Come si può sottolineare questo concetto senza essere ripetitivi, senza sottrarre spazio a chi ci parla?

 

La cosa fondamentale è ricordarci di quanto la comunicazione passi sì attraverso le parole, ma anche attraverso tutta una serie di messaggi non verbali e paraverbali.

Un sorriso (vedi il post "Il valore di un sorriso"), ad esempio, ci consente di comunicare la nostra disponibilità senza doverne necessariamente parlare. Anche un cenno della testa, di assenso e comprensione, può sortire l'effetto desiderato: comunicare all'altro il messaggio "ti sto ascoltando", rassicurarlo su quanto importante a apprezzato per noi sia quel momento, di condivisione e scambio.

 

Abbiamo parlato dei primi segnali non verbali, ma in che modo possiamo sfruttare anche il canale paraverbale?

 

Banalmente possiamo aiutarci con segnali paraverbali di assenso ed apertura: i classici "mmhm", "ah ah", ecc. possono assolvere egregiamente al nostro compito di "ascolto attivo". Sappiamo che il loro effetto su chi ci sta comunicando qualcosa è senz'altro di incoraggiamento; stiamo dichiarando la nostra disponibilità.

 

C'è qualcos'altro che possiamo fare per ascoltare in modo attivo?

 

Certo! Ci sono altri due aspetti importanti da tenere in considerazione: il primo è rappresentato dalla postura che assumiamo durante l'ascolto. Immaginate di assumere la stessa postura che assumereste durante l'estrazione dei numeri di una lotteria alla quale avete partecipato con il biglietto che, proprio in questo momento tenete in mano, con la consapevolezza che le prime 4 delle 6 cifre stampate su quel biglietto, corrispondono a quelle appena estratte. Il gioco è fatto!

(leggi l'estratto del libro "Come trattare gli altri e farseli amici" di Dale Carnegie)

 

E l'altra cosa da fare?

 

L'altro aspetto sul quale possiamo giocare per praticare un ottimo ascolto attivo è rappresentato dalle domande.

Ogni tanto, quando l'altra persona ci parla, possiamo chiedere conferma di quello che abbiamo compreso fino a quel momento. Un'indicazione importante riguarda la scelta delle parole contenute nella domanda: è infatti preferibile utilizzare le stesse identiche parole adoperate dal nostro interlocutore. Spesso sento dire che è opportuno fare una parafrasi di quello che l'altra persona ci dice: questo modo di fare potrebbe riservare delle brutte sorprese, soprattutto se scegliamo parole che si riferiscono a concetti diversi da quelli che ci vogliono essere trasmessi. (Consiglio di consultare il post "Struttura superficiale/struttura profonda")

 

Quali sono i vantaggi del porre domande all'interlocutore?

 

I vantaggi principali nel porre domande a chi ci sta parlando sono due: il primo è strettamente legato a quello di cui abbiamo già parlato in precedenza. Rivolgere una domanda pertinente comunica cioè il nostro interesse e il messaggio "Ti sto ascoltando". Inoltre, utilizzando le stesse parole, come accennato pocanzi, attuiamo una sorta di "ricalco verbale" nei confronti della persona, facilitando l'instaurarsi di un clima di fiducia e di rapport. (vedi il post "Ricalco e guida. Cosa si intende?")

Il secondo vantaggio che troviamo nel domandare, ogni tanto, se abbiamo ben compreso quello che l'altro vuole comunicarci sta, appunto, nel sincerarci che quello che abbiamo afferrato (e interpretato) sia o meno rispondente a quello che l'altro vuole dirci. In caso affermativo riusciamo un'altra volta a trasmettere all'interlocutore la sensazione che il nostro ascolto funziona, che siamo presenti. Nel caso in cui quello che abbiamo compreso non risponde effettivamente al significato profondo che voleva esserci trasmesso, domandandolo facciamo emergere questa discrepanza e, contestualmente, diamo l'opportunità a chi parla di ritornare sugli aspetti che ci erano sfuggiti o che avevamo mal interpretato.

 

Quando ascoltiamo, facciamolo in modo attivo, da protagonisti. Lasciamo spazio all'altro di comunicarci quello che ha piacere di trasmettere ed impegniamoci ad entrare in contatto con il suo mondo, mettendoci nei suoi panni come se fossero i nostri.

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Commenti: 1
  • #1

    miriam paternoster (giovedì, 03 ottobre 2013 10:02)

    Grazie Alberto per questi spunti sempre preziosi! Riuscire a mettere in pratica ogni giorno anche una piccola parte di tuoi consigli per me è già un grande successo, e non solo nella scuola, ma nella vita :)